info@tenutedettori.it
Tel. +39 079 515511
Image thumbnail

I Vini

Integralmente prodotto ed imbottigliato all’origine nella zona di produzione dalle Tenute Dettori – Società Agricola Semplice, Sennori (SS), Sardegna. Italia.

La Romangia è un grande Terroir e Badde Nigolosu dopo tutti questi anni è ancora è un mistero anche per noi. Un luogo bello ma complesso, come complesso è avere a che fare con le sue vigne ed i suoi vini.


Nove vigne per nove vini completamente diversi ma con un legame forte tra loro: l’armonia, l’eleganza, la finezza, l’equilibrio e soprattutto la longevità. Per questo motivo sono vini rari e preziosi, vini capaci di confrontarsi con i migliori cru del mondo, senza presunzione ma senza il solito senso di inferiorità.

Siamo Vignaioli perché produciamo il vino solo vinificando le uve coltivate da noi.

Siamo Artigiani perché ogni lavoro è pensato e fatto personalmente da noi: in campagna come in cantina. Non abbiamo bisogno di consulenti.

Nel nostro cru di Badde Nigolosu da ogni singola vigna nasce un vino unico ogni anno, che porta il nome della vigna stessa: Dettori Bianco, Tuderi, Tenores, Dettori, Chimbanta, Ottomarzo, Moscadeddu sono i nomi delle vigne.

L’attenzione maniacale e la tensione rivolta alle vigne è la stessa rivolta alla Cantina.

Non facciamo mai analisi chimiche sulle uve prima della raccolta per non condizionare la nostra esperienza ed il nostro istinto. Per questo motivo i gradi alcolici dei vini variano ogni anno. Non seguiamo il grado alcolico, il valore dell’acidità totale o del ph. Non serve. Seguiamo solo l’unica cosa che conta: l’equilibrio.

L’uva viene vendemmiata a mano e selezionata sul tavolo per essere diraspata ma non pigiata. Le macerazioni avvengono nei tini di cemento aperti senza usare il piede di partenza e senza usare mai la solforosa.

La durata della macerazione dipende dalle caratteristiche dell’uva e del mosto. Può durare dai due ai dieci giorni. Macerazioni più lunghe non appartengono alla tradizione. La svinatura avviene sempre a mano per preservare la buccia. Il mosto prosegue il suo cammino nelle piccole vasche di cemento sino al suo imbottigliamento. Non tutte le vasche verranno imbottigliate, alcune verranno declassate ed imbottigliate come Renosu. Siamo i giudici più severi del nostro lavoro.

Non abbiamo bisogno di usare il legno per addomesticare i tannini grazie al sapiente lavoro fatto in vigna. Le uve arrivano in cantina già con tutto quello che serve per fare un grande vino.

Non filtriamo. Chiarifichiamo per decantazione naturale ed il vino si stabilizza grazie al freddo degli inverni in cantina.
Dall’uva delle nostre vigne alla bottiglia senza aggiunta di altre sostanze ammesse per uso enologico.
Ingredienti, coadiuvanti, additivi: uva.

I nostri vini devono essere conservati sopra i 10°C. Devono riposare dopo il trasporto ed è bene una volta aperte farle ossigenare. Eventuali residui e CO2 sono naturali. Il vino va sempre bevuto fresco, sia i bianchi che i rossi intorno ai 13°C. Ogni bottiglia deve essere diversa. Ogni bottiglia è numerata.

Tutto questo perché vogliamo che i nostri vini rappresentino l’essenza del nostro Terroir: veritiero, reale, unico.

Vino e Terroir

I vignaioli sono gli unici che riescono a ridisegnare quotidianamente il Terroir con la loro Vita.

Un Terroir nasce dalla vicendevole fusione – unione tra un Luogo ed un Popolo. Per Luogo (antropologico) intendo come sosteneva Augè: uno spazio che è stato marcato, occupato, simbolizzato, ordinato da una Società. Un Terroir non è figlio di un singolo, ma di una comunità che in un luogo vi ha vissuto anche (e soprattutto) senza avere coscienza di ciò.  Un terroir è fatto di gesti quotidiani tramandati volti alla sopravvivenza: dal pane fatto per se, al vino fatto per essere commerciato sono ottimi esempi.

Il vino di terroir è faticoso, ci vuole perseveranza, dedizione e severità.

Il terroir necessita sempre di un vignaiolo. Noi non facciamo il Terroir con il vino, noi vignaioli siamo uno degli elementi del Terroir, per questo motivo non ci si serve di un terroir ma ci mette al suo servizio.

Non abbiamo mai voluto definire i nostri vini secondo il vitigno, abbiamo la vigna del Tuderi, del Tenores, del Dettori, del Chimbanta, e così via. Il vitigno non è l’attore principale del terroir.

Il vino deve essere pura espressione di un luogo e non di una razza e questo ci obbliga ad un’altra riflessione: il terroir non può essere statico, possiamo forse definirlo come quella tensione, quel tendersi verso qualcosa di sempre meglio che porta l’uomo a cercare sempre nuovi adattamenti al motivo originario, nella ricerca dell’unità armonica assoluta.

Guai ad ammettere stravolgimenti solo perché l’attore non ha le competenze adeguate.

L'annata: esperienza ma sopratutto istinto.

Abbiamo smesso anni fa di prendere appunti di quel che accade durante l’annata agraria e soprattutto durante la vendemmia.
Studiamo ed analizziamo con severità il presente in vigna e in cantina. Prosciughiamo sensazioni e dettagli che finiscono nel calderone delle cose da riprendere. Quel serbatoio dove ricordi, sensazioni, esperienze, studi, errori e vita vissuta si mescolano apparentemente senza un senso logico.

Ad ogni inizio vendemmia, quel calderone è il caos, l’entropia, il disordine di Badde Nigolosu.

La razionalità può tenerti al guinzaglio, renderti insicuro al punto di degustare centinaia di etichette l’anno, alla ricerca di certezze, sicurezze.
Necessità di costruire delle linee guide nella mente, che alla fine ti portano a seguire un modello di vino che ti sei costruito nel tuo mondo ideale.

Ma come ci ha insegnato Sant’Agostino il tempo non esiste. L’istante che viviamo nel momento in cui già lo assaporiamo è già passato. Quando si lavora artigianalmente con metodi e processi naturali, le variabili sono talmente numerose che noi se volessimo incidere creeremmo solo distorsioni.

E’ come navigare a vista in un mare in tempesta e puoi farlo solo se hai le capacità, l’esperienza ed il mestiere.

Ogni giorno nel tuo vigneto e nella tua cantina è un giorno unico (irripetibile, senza uguali).

Ogni anno è una nuova avventura e va affrontata con leggerezza d’azione, libertà di movimento e senza nessun condizionamento.

La razionalità porta all’omologazione. L’istinto è artigianalità.

L’UVA RETAGLIADU NIEDDU – Cannonau di Sorso Sennori

Vitigno Autoctono Sardo. Sino a pochi anni fa si riteneva che il Cannonau fosse un modo diverso di chiamare il Grenache francese, il Garnacha spagnolo e del Tocai Rosso veneto. Finalmente negli ultimi anni sono stati eseguiti degli studi scientifici che hanno evidenziato due aspetti fondamentali: a) il Cannonau ed il Grenache condividono soltanto l’82% del patrimonio genetico (Università di Sassari Nieddu, ET AL. C.S.); b) il Cannonau ha origine in Sardegna prima ancora che nel resto dell’Europa. Numerosi sono gli atti ufficiali che testimoniano ciò. Uno di questi, l’atto del notaio Bernardino Coni di Cagliari dove in un atto del 1549 menziona il vino Cannonau, mentre il termine Garnacha, riferito ad un vino rosso spagnolo, compare solo due secoli più tardi. Il Cannonazo di Siviglia è un vitigno inesistente. Per anni si è pensato che il Cannonau derivasse da questo vitigno, ma fu solo un errore di trascrizione del “Canocazo”, vitigno bianco andaluso. Il primo agronomo a citarlo è il sassarese Manca dell’Arca, verso fine del ‘700. Più tardi il Cettolini del cannonau scrive che è chiamato “Cannonatu” a Tempio e “Retagliadu nieddu” a Sorso. Tutti Il nostri vigneti di cannonau sono in realtà “Retagliadu Nieddu” l’antico clone del cannonau della Romangia.

L’UVA VERMENTINO

Vitigno iscritto nel Registro nazionale delle varietà italiane di vite coi sinonimi di Carbesso, Favorita e Verlantin (D.M. 25/5/1970) e incluso nell’Elenco delle varietà raccomandate della Liguria, della Toscana marittima e della Sardegna. Nel Bollettino ampelografico del 1877, il Cettolini (1897) riporta che “a Tempio coltivasi una vite che chiamano Vermentino, che si suppone oriunda della Corsica”. Cara (1909), ne conferma la coltivazione in Gallura e suppone la sinonimia con la Coscosedda di Sorso.

L’UVA MOSCATO

Vitigno dalle origini antichissime, presente in Sardegna già al tempo dei romani dai quali veniva chiamato vitis apiana in quanto uva prediletta dalle api per la dolcezza dei suoi acini. Lo stesso termine moscato, in analogia al nome latino, potrebbe derivare dalla attrazione che queste uve molto zuccherine esecitano sulle mosche. Questo vitigno è presente in quasi tutte le aree viticole del Mediterraneo; in Sardegna lo troviamo prevalentemente nei terreni calcarei e soleggiati della Romangia. Il tradizionale allevamento ad alberello e le basse rese per ettaro dei vigneti della Romangia , accostati all’esposizione soleggiata sui terreni asciutti e calcarei , conferiscono al vino espressioni aromatiche gusto-olfattive di grande ampiezza. Il caldo colore ricorda l’oro e l’ambra, i profumi sono quelli primari del frutto d’origine che richiamano sensazioni di miele, mandorle, fichi confettura di albicocche e mosto cotto. Squisitamente dolce, caldo e straordinariamente morbido e avvolgente al palato.

L’UVA MONICA

Le prime citazioni del vitigno in Sardegna riportano il nome di Monaca (Acerbi, 1825; Varese, 1832); ma già nel 1836 Moris introduce il termine “Vitis nectarea, Vern. Monica …vinum hujus nominis exquisitum, nectareum”.

In Romangia la Monica è chiamata “Monica di Sorso”, è un clone molto diverso dalla classica Monica di Sardegna.

L’UVA PASCALE

Le prime citazioni del vitigno in Sardegna risalgono al Manca dell’Arca che tratteggia la varietà Pascale coi “grani rotondi, grossi e racemo grande”. Nel Bollettino ampelografico pubblicato nel 1887 viene descritto il Pascali comuni nero come vitigno precoce, coltivato in provincia di Sassari. Cettolini (1897) lo indica coltivato in diversi areali dell’Isola, molto presente nel sassarese (romangia). Il Pascale è anche un’uva da tavola prelibata, vinificata assieme al cannonau.

Tenute Dettori è la prima azienda ad aver vinificato ed imbottigliato il Pascale in purezza.