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Romangia

La nostra cultura

“Noi facciamo i vini di Sorso Sennori, senza il suo territorio non potremmo esistere” 

In Romangia non esiste la monocultura.

La Romangia è il territorio della Sardegna del Nord-Ovest, incastonata tra il golfo dell’Asinara e le cime rocciose dell’Anglona e di Osilo, da cui si diramano diverse valli, colline ed altopiani floridi. Il territorio in soli dodici chilometri passa dai 766metri di Osilo alla battigia della Marina di Sorso e Platamona: spiaggia incontaminata di quindici chilometri avvolta dalla pineta e dalla macchia mediterranea.

In Romangia la vitivinicoltura ha radici millenarie. Terroir storico del Cannonau dove solo qui sopravvive il biotipo antico chiamato “Retagliadu Nieddu”. Terroir antico anche per altre decine di vitigni, tra i più estesi e rinomati: il Moscato di Sorso-Sennori, il Vermentino, il Pascale, il Cagnulari e la Monica di Sorso, per citarne alcuni. La ricchezza dei vitigni coltivati ben racconta il livello di professionalità del luogo, oggi come allora. Nel passato era impensabile basare il proprio reddito agricolo sulla coltivazione di una sola varietà d’uva.

Un “ventaglio agricolo” particolarmente esposto al maestrale, con capitale Sorso e Sennori che abbracciano parte dei territori del comune di Sassari, di Osilo e di Castelsardo. Oggi, come allora, è un susseguirsi di migliaia di ettari tra vigneti, oliveti, frutteti ed orti. Due paesi che vivono ancora di agricoltura, olio, vino e pastorizia. Custodiamo ancora gelosamente diverse specie autoctone orticole e frutticole che vengono vendute al mercato ortofrutticolo di Sassari, oltre che direttamente nelle aziende di produzione che si affacciano sulle strade provinciali della Romangia. Ancora oggi, in paese è viva la cultura della vendita in “perra ‘e janna”, signore anziane che sull’uscio di casa vendono gli ortaggi e la frutta della propria campagna.

Luoghi ricchissimi di testimonianze degli insediamenti umani più lontani nel tempo. <<Un luogo primitivo con colline dove l’ulivo e la vite fanno a gara per conquistare gli angoli più belli. E’ una terra in cui gli uliveti sono secolari e i vigneti durano generazioni (cit. d.t.)>>.

I campi coltivati, gli uliveti ed i vigneti, sono avvolti nella macchia mediterranea, principalmente caratterizzata da arbusti o piccoli alberi sempreverdi a foglie coriacee. La vegetazione è solitamente resa densa e compatta dall’intreccio di numerose piante rampicanti. Tra le piante arboree presenti sono da ricordare il carrubo, l’oleastro e l’alloro. Tra le specie arbustive si citano il mirto, il lentisco, la fillirea, il corbezzolo, l’alaterno, ed il pungitopo.

Grazie al genio e caparbietà delle persone che hanno abitato ed abitano la Romangia, ci sono decine di cru, identificati tutti per nome.

Il vino è sempre stato cultura tanto è antica e rinomata la sua reputazione vinicola. La qualità delle uve, dei vini e della maestria delle persone è dimostrata dagli oltre 200 vignaioli che producono il proprio vino. Con oltre i mille ettari è uno dei tre maggiori terroir vitivinicoli della Sardegna, dove oltre il 60% delle viti sono ancora alberelli non irrigui.

Angius nel 1830 (citato nel Disciplinare Cannonau Sardegna Doc), sulla Romangia scriveva:<< Nella sua circoscrizione, sono terreni attissimi a tutte le specie di cultura, dei cereali, delle piante ortensi, della vigna, degli olivi, degli alberi. Abbiamo indicato i diversi siti e quanto sono essi estesi ove si fa l’orticultura, e basta questo perché si stimi quanto essa sia estesa. Lo smercio facile di questi articolo che si può fare in Sassari ha incoraggiato alla medesima. Le più comuni specie di erbaggi sono cavoli di tutte specie, lattughe, cardi, citriuoli, melloni di ottima qualità ecc. Gli alberi fruttiferi non sono complessivamente meno di 230000 e di tante specie, quante ne abbiamo accennato in Sassari. La vigna prospera mirabilmente e produce uve di vino e mangiabili di ottima qualità. Le varietà delle uve sono più di venti tra bianche e rosse e nere. La vendemmia è copiosissima di vini neri e bianchi comuni e fini. tra questi ultimi è da notare la malvasia, la quale non cede a nessun’altra nell’isola, massime se vecchia di alcuni anni. Sebbene facciasi una prodigiosa consumazione di vino nel paese restane ancora una gran quantità che si compera da’ Genovesi a tal pezzo, che ogni carica di 80 litri vendesi a soldi 50 (lire 2.50), quando vendesi bene>>

Geologia della Romangia

La complessità delle tre Ere geologiche

La Romangia si trova in una precisa area di intersezione di diverse Ere geologiche. La formazione dei substrati abbraccia un arco di tempo compreso fra il Miocene e l’Olocene con formazioni di origine vulcanica e sedimentaria la cui posizione stratigrafica, dalla più antica alla più recente, risulta essere:
1-formazione “ Andesitoide”,
2-formazione “trachitoide”,
3-complesso sedimentario (miocene),
4-depositi eolici (quaternario),
5-alluvioni e depositi di versante.

L’evoluzione morfologica ha modellato queste formazioni in colline disposte a teatro verso il mare a nord e degradanti dolcemente verso la linea di costa, salvo dove il profilo del versante viene interrotto dall’affioramento di caratteristiche testate di strati rocciosi più resistenti all’erosione che proteggono le formazioni sottostanti.

I suoli presenti nell’ area e classificati, secondo gli schemi della Soil Taxonomy, in Entisuoli, Inceptosuoli e Alfisuoli consentono una ripartizione pedologica in 3 tipologie:

1- Suoli evolutisi su alluvioni recenti , pianeggianti o debolmente ondulati, con tessitura da franco-sabbiosa ad argillosa, reazione subalcalina, permeabili, destinati a colture ortive, vigneti, frutteti e oliveti.

2- Suoli evolutisi su depositi di versante delle formazioni calcaree e marnose del Miocene, talvolta terrazzati artificialmente, utilizzati a frutteti, oliveti vigneti e incolti, con tessitura da franca ad argillosa, buona profondità a reazione da neutra a subalcalina, di buona aggregazione saturi e drenati.

3- Suoli evolutisi sulle morfologie collinari e sedimentarie da erosioni di calcarei e marne, e racchiude i paesaggi maggiormente caratterizzanti la zona, con distese di vigneti e oliveti, che si alternano a macchia mediterranea e rimboschimenti, a tessitura franca e argillosa con reazione subalcalina, di buona aggregazione e ben drenati.

Un po' di storia

Tre millenni di storia vitivinicola pregiata

Il vino in Romangia è stato prodotto e commercializzato in modo professionale dall’Antico Popolo Sardo a partire dal XIV secolo a.C. (oltre 3.300 anni fa).

C’è una vasta area archeologica attorno a Badde Nigolosu: un asse di tre chilometri e mezzo che collega con una retta immaginaria il villaggio nuragico  “Su Nuraghe”, la tomba dei giganti di “Badde Nigolosu-Oridda” e la necropoli di “Serra Cabriles”.

Su Nuraghe è un insediamento rurale edificato dall’antico popolo sardo che assieme alle sue domus de janas (sepolcri) è databile fra il 3400 e il 2500 a.C. per arrivare alla tomba dei giganti del 1600/1400 a.C. di Badde Nigolosu. Questo luogo è continuato ad essere vissuto sino all’arrivo dei Romani, che hanno popolato l’area già dal II secolo a.C., compresa Badde Nigolosu.

L’insediamento rurale è continuato sino al suo abbondono avvenuto tra il 1300 e 1400. Le vigne sono rimaste e si è continuato a coltivarle ma non era più possibile vivere lontano dai villaggi più importanti come Sennori e Sorso, per via delle continue scorribande degli eserciti dei conquistatori di turno.

Cronistoria

XIV secolo a.C. Ritrovati i resti di vasi e brocche da vino, negli innumerevoli scavi archeologici della Romangia.

X secolo a.C. datazione di uno dei pochissimi Askos ancora intatto, ritrovato presso Monte Cao in Romangia.

II secolo a.C. sino al III sec. d.C. Tracce dei commerci romani con decine di anfore vinicole, nascoste nel Nuraghe “La Varrosa” sulla spiaggia della Marina di Sorso. Esse testimoniano le produzioni ed i commerci romani.

46 a.C. Giulio Cesare fonda la prima ed unica Colonia romana in Sardegna: Turris Libyssonis che abbraccia tutte le campagne di Sorso, Sennori e Castelsardo.

27 a.C. nel retroterra della colonia di Turris Libisonis, nella “Romània”, vengono fondate numerose fattorie ed agglomerati rustici, accanto ai tanti nuraghi abbandonati del territorio. Si andò sviluppando un’economia agricola intensiva di tipo latifondistico, con grandi capitali indirizzati soprattutto verso la produzione del frumento nella pianura verso Alghero (Nurra) e verso Sassari. Sulle colline della Romània si incentivò e professionalizzò la coltivazione dei vigneti e degli oliveti, che i punici non avevano incentivato, essendo più interessati alla produzione della birra che al vino.

Dal secolo III d.C. sino al secolo VII d.C., sul litorale di Marritza (Sorso), la Villa romana di Santa Filicita, ci racconta dei commerci grazie alle tracce delle derrate alimentari compreso il vino. Tracce imperiali, vandale e bizantine.

Nel 1140 circa, Gonario II di Torres nato Gonario de Lacon Gunale de Thori (Re del Giudicato di Torres – Logudoro) dona ai monaci cistercensi i beni situati in Romangia nei territori di Save, Osilo, Taverra, Septempalmas ed Enne. Non era una semplice donazione ma una scelta di vita, avendo conosciuto personalmente, il fondatore dell’Ordine Cistercense: Barnardo Chiaravalle. Gonario lascerà al figlio il titolo di Re di Torres per diventare Monaco cistercense e trasferirsi in a Clairvaux (Francia) dove morirà nel 1150. L’Ordine Cistercense è fondato nel XII secolo dall’Abate Bernardo di Chiaravalle, con l’Abbazia di Cîteaux (1098). Bernardo impose ai cistercensi rigorosi principi di vita, che alternavano fatica e preghiera. Sotto l’influenza di questa regola, i monaci fanno un lavoro fenomenale nel valorizzare i loro vigneti tanto quanto i loro terreni agricoli. Applicano nuove tecniche di vinificazione, registrano meticolosamente i risultati dei loro esperimenti e soprattutto. Con questi studi riescono a realizzare la prima zonazione vitivinicola della storia del vino. I monaci cistercensi possiedono terreni in Côte de Beaune e Côte de Nuits, ma anche intorno a Chablis e Chalon-sur-Saône. Fino ad oggi, il loro lavoro ed il patrimonio degli scritti, contribuisce alla notorietà e alla conservazione del Terroir de Bourgogne compresa la vigna di Romanée-Conti.

Tra il 1101 e 1300 d.C. circa

Costantine de Thori è Curatore della Romangia e autorizza Giorgio Mugra alla vendita della vigna di Gennor (villaggio della Romangia non più abitato).

Mariano de Thori quando è curatore di Romangia prima di diventare Re del Logudoro, dona a Comita de Thori Gavisatu, la sua domus (azienda con una base fondiaria vasta) di Favules: servi e vigne e terreni coltivi e salti e pecore e porci e tutto quello che vi possedeva dentro la domus e fuori della domus.

Mariano de Thori (già Re) dona a San Pietro di Silki (Ente ecclesiastico) la domus (azienda agricola) di Gennor, con servi e serve, con terreni e vigne. Dona il saltu (terreni incolti) di Bubui, che fu scorporato dal patrimonio regio. Il confine è di centinaia di ettari. Questo è il saltu che il Re Barisone II di Torres – Lacon de Thori donò a suo fratello donnu Comita de Martis, scorporandolo dal patrimonio regio.

Il Re Mariano I de Thori, in un passo della Cronaca Logudorese nota come Liber Iudicum turritanorum vi è l’esplicito riferimento alla passione che aveva, per il prezioso nettare, tanto da costringere la madre a ricorrere a sortilegi pur di distoglierlo dal bere il vino. Mariano, guarito dal vizio, si ammalò nondimeno, secondo quanto tramandato dalla stessa fonte, per l’acqua (infetta) bevuta in eccesso (Orunesu, Puxeddu 1993, pp. 32-35).

Comita de Thori Leriane e sua moglie Susanna de Thori, donano a San Pietro di Silki (Ente ecclesiastico) la proprietà nel saltu di Urcone, pari a un senso del saltu. Il confine di queso salutu inizia da ìsiscala de Vinia manna (vigna grande).

Mariano de Thori dona, per il bene dell’anima di sua madre, la sua domus di Salvennor, con corte, terre, vigne, servi e saltos e ogni bene che aveva presso di sé, escluso ciò che gli spettava in linea paterna.

Anno 1294. Nasce il “Libero Comune di Sassari” che ingloba la Romangia. Sorso, Sennori ed Osilo diventano il distretto della Città di Sassari.

Anno 1300. Gli scavi effettuati nel villaggio preistorico e poi medieoevale in località “Geridu” (Romangia), hanno dato alla luce reperti e ritrovamenti di vinaccioli carbonizzati, roncole per la potatura e per la vendemmia, boccali di ceramiche usati per bere il vino e vasi vinari.

Anno 1316. Sassari pubblica gli “Statuti Sassaresi” uno dei primi esempi di codice civile e penale europeo. Gli Statuti Sassaresi si sono occupati minuziosamente dell’agricoltura, soprattutto delle vigne e del vino. Tra le varie norme ven’era una che vietava l’impianto di nuove vigne e l’importazione di vino. Era il segno di un’economia più che florida che non tollerava un aumento di produzione. Oltre a consentire la sostituzione dei ceppi improduttivi, l’unica deroga era permessa ai proprietari nelle porzioni incolte all’interno della propria vigna (in sa terra vacante intro dessa cuniatura dessa vigna sua). Nessun freno invece per le apprezzate uve da consumare a tavola o da far seccare al sole (tricla et simizante uva qui no se operat a binu ). Quale fosse l’importanza della vitivinicoltura nell’economia cittadina ben si coglie nei concitati avvenimenti seguiti all’insurrezione capeggiata nel 1329 dalle famiglie dei Pala e dei Catoni contro i Catalano-Aragonesi. I rivoltosi furono inizialmente banditi dalla città, tra rappresaglie e sequestri di beni. A distanza di poco tempo, con un più morbido atteggiamento, gli stessi furono però invitati dalle autorità a rientrare nel distretto di Sassari per coltivare e mettere in produzione le vigne ( «laurar e penjar les vinyes») il cui raccolto sarebbe stato altrimenti compromesso.

Anno 1440. IL Signore dell’incontrada di Romangia, nel 1440 concesse delle franchigie agli abitanti delle ville di Sorso e di Sennori, mirati all’ulteriore sviluppo della viticoltura («specialmente in plantare vignas»). Istituisce un corpo di guardie campestri che avrebbe vigilato sui vigneti giorno e notte, ma anche dall’abolizione del «drittu de sa ixida» ( diritto d’uscita), e cioè dell’imposta dovuta da coloro che andavano ad acquistare vino nei due villaggi (Sorso e Sennori).

Anno 1538. I bottai della Città di Sassari erano organizzati in associazioni di mestiere fin dal XVI secolo: nella città di Sassari erano uniti alla confraternita dei fusters, picapedrers, sellers e bosters il cui statuto risale al 1538.

Anno 1602. Nella zona della “Pedraia”, nella Romangia, gli archeologi hanno trovato un impianto di vinificazione scavato nella roccia calcarea, che reca incisa su un pilastro la data del 1602.

Anno 1630. Prima citazione scritta di Badde Nigolosu. Presso l’Archivio Amat di Cagliari è citata “Badde Nigolosu”:<<Sas terras de Badde Nigolosu.  S.a Juanneddu Detori In sas terras de Murtedu>>. (AAC, Amministrazione, n.27/1 1630).

Anno 1639. Il Comune di Sassari stabilisce in 33 lire sarde il prezzo d’una botte di malvasia e in 18 lire sarde quello d’una botte di “vin blanc y canonat”. Quest’ultima è una delle prime citazioni del vino ottenuto dal famoso vitigno “Cannonau”.

Anno 1677. Il francescano Giorgio Aleo (citato tra le fonti del disciplinare doc canonau di sardegna), relatore del Re di Sardegna scriveva:<<Los vinos son tintos y blancos y canonates, de color como rubi […], muy buenos generalmente en toda la isla , pero lo mas apreciados y regalados son los canonates, la garnacha, el girò, las malvasias y moscatos de Quarte y demas lugares de la comarca de Caller, de Sorso y Sennori, de Bosa y los vinos griegos de Lacono>>.

Anno 1746. Un’ampia relazione storico-geografica redatta dall’intendente generale del Regno, Francesco Giuseppe de la Perrière conte di Viry (citato tra le fonti del disciplinare doc canonau di sardegna), dava una particolareggiata descrizione della Sardegna rurale riproponendo l’immagine di una viticoltura capillarmente diffusa in diverse zone dell’Isola. I territori in cui la viticoltura faceva registrare una presenza più compatta erano concentrati in tre aree geografiche principali: l’entroterra di Cagliari, le regioni collinari dell’Ogliastra e la parte nord- occidentale della Sardegna. Nella Sardegna settentrionale la viticoltura aveva i suoi punti di forza nella Romangia, nel Sassarese e nei dintorni di Alghero ( «Le terroir abonde en vin, huille, blés et beaucoup de paturages»). Bosa, poco più a sud sulla costa occidentale, era già nota per la sua «excellente malvoisie».

Anno 1776. Francesco Gemelli (citato tra le fonti del disciplinare doc canonau di sardegna) ne il “Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura libri tre, Torino 1776” scriveva:<< Io non posso, che grandemente encomiare i Sassaresi, e generalmente tutti gli abitanti della Sardegna per la somma diligenza, e la squisita cura, onde coltivan le viti, e penso che quella parte d’ agricoltura sia fiorente sopra ogni altra nel regno, e però, che niente, o quali niente non abbisogni di riforma>>. Sui vini affermava:<< A viemmeglio dichiarar la cosa, in tre classi distinguo i più predanti vini della Sardegna; vini abboccati, vini potenti, e vini asciutti e leggieri. Nella classe degli abboccati merita il primo luogo il moscadello, volgarmente moscato di Cagliari e il girò, e il canonao pure di Cagliari, e il moscato d’Algheri, e fors’anche vi può pretendere la malvagia di Sorso. Nella classe de’ potenti ripongo la malvagia di Cagliari più potente d’ogni altra, la più famosa di Bosa, e quella di Sorso, e quella pure d’Algheri, e le vernacce di Oristano, e di Cagliari, e i vini neri di Algheri, e dell’Oliastra; finalmente nella classe degli asciutti e leggieri, e però più opportuni a parteggiare metto i vini di Sassari, ove sien fatti a dovere. Ora i vini delle prime due classi son quelli, cui dicea somigliare più agli spagnuoli, che a’ vin franzesi. Que’ dell’ultima per l’opposito, più fui gusto de’ franzesi, potrian co’ medesimi gareggiare, ove la diligenza entrasse a correggere i difetti, che commettonsi dai più nel manipolargli, e nei conservargli e la moltitudine de’ Sassaresi prendesse ad imitare il minor numero de’ loro concittadini, che se ne guardano>>.

Anno 1777. Il moto rurale contro i feudatari si sviluppò soprattutto nella zona Nord occidentale dell’Isola, con particolare virulenza a Sorso e Sennori che erano infatti tra le località più avanzate dell’isola dal punto di vista delle sviluppo agricolo. Un’agricoltura intensiva di colture specializzate evoluta verso la viticoltura, frutticoltura e dal seicento olivicoltura. (Doneddu-1990).

Anno 1780. Il Manca dell’Arca (citato tra le fonti del disciplinare doc canonau di sardegna) pubblica nel 1780 (a Napoli) “Agricoltura di Sardegna” dando una dettagliata descrizione delle uve presenti nel sassarese, tra le quali anche: muscadella: uva gentile, primitiva, di grani rotondi (l’attuale moscadeddu), coscusedda: di grani rotondi (l’attuale vermentino), granazza: o garnaccia di grani lunghi e grossi, cannonadu biancu. Tra le uve nere: zirone: uva gentile di grani rotondi, primitiva. Zirone di Spagna: di grani rotondi più grandi. muristella: di grani rotondi e folti: uva tardiva. pascale: di grani rotondi, grossi, e racemo grande. redagliadu nieddu: di grani rotondi, folti e grossi. cannonadu: di grani rotondi mediocri. (Attenzione, il retagliadu nieddu è il clone antico di Cannonau presente solo a Sorso Sennori).

Anno 1820. Vittorio Angius (citato tra le fonti del disciplinare doc canonau di sardegna), collaborò alla stesura della monumentale opera del Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna (1833-56). Una minuziosissima descrizione di ogni villaggio della Sardegna. Sulla Romangia scrisse:<<La vigna prospera mirabilmente e produce uve di vino e mangiabili di ottima qualità. Le varietà delle uve sono più di venti tra bianche e rosse e nere. La vendemmia è copiosissima di vini neri e bianchi comuni e fini. tra questi ultimi è da notare la malvasia, la quale non cede a nessun’altra nell’isola, massime se vecchia di alcuni anni. Sebbene facciasi una prodigiosa consumazione di vino nel paese restane ancora una gran quantità che si compera da’ Genovesi a tal pezzo, che ogni carica di 80 litri vendesi a soldi 50 (lire 2.50), quando vendesi bene>>.

Anno 1887. Il Cettolini (citato tra le fonti del disciplinare doc canonau di sardegna) ricorda in un “Elenco delle principali uve sarde” che questo vitigno era denominato anche Cannonatu a Tempio e Retagliadu nieddu a Sorso.

Anno 1951. Il Bruni (1952-1960) (citato tra le fonti del disciplinare doc canonau di sardegna) completa la caratterizzazione ampelografica con la descrizione della fenologia, delle caratteristiche ed attitudini colturali e della utilizzazione del vitigno e riporta come nel 1951 il Cannonau fosse diffuso in tutta l’Isola e rappresentasse la varietà predominante in Ogliastra, e nell’agro di Sorso.

Anno 1960. Scheda Ampelografica Ufficiale del Registro nazionale delle varietà di vite devi vini dop e igp italiani, tenuto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali  <<Il primo che ne ha fatto cenno fu il Manca che lo ha nominato “Cannonadu”; l’Acerbi lo chiama “Canonao”; il Moris “Cannonau”, classificandolo come Vitis praestaus nigra. Il barone Mendola nomina il “Cannonadu nieddu”, “Canonao”, “Cannono”. è descritto nei Bollettini ampelografici con il nome di “Canonao”, “Cannona”; in esso a pagina 76 è scritto “che, secondo le annotazioni fornite dal prof. Nicola Meloni, corrisponde all'”Alicante” di Spagna, al “Grenache” di Francia”, e a pagina 90 che “è identico al “Granaxa” di Aragona e al “Grenache” dei Francesi”. è chiamato inoltre: “Cannonaddu”, “Cananao”. E, secondo Cettolini, “Cannonatu” a Tempio e “Retagliadu nieddu” a Sorso. Alcune volte, frammisto tra le altre viti, si trova un clono, chiamato “Cannonao bastardu” o “selvaggio”, più vigoroso e con grappolo più spargolo, dovuto alla presenza di fiori autosterili>>.

Anno 1961. Giuseppe Dessì ne “I Vini d’Italia” di Luigi Veronelli del 1961 scriveva: <<Questa atavica diffidenza per la parola ogni sardo si aiuta a vincerla con un bicchiere di vino. Si beve tra amici, e il vino ravvia la simpatia e l’amicizia. chi è stato nostro ospite a Sassari, a Nuoro, a Oristano o a Quarto, oppure ad Alghero o a Sorso, in guerra o in pace, sa quanta importanta abbia per il Sardo bere in compagnia, e quanto sia ardua la prova. E’ come reggersi bene in sella per uno che non ci sia abituato.  Parlo naturalmente di vini di classe. Parlo del Girò, parlo del Moscato del Campidano, della Malvasia di Bosa, del Vermentino di Tempio, del Nasco, della Monica, dell’Oliena, parlo del Torbato d’Alghero, del profondo, metafisico Moscato di Luras, del nobile, generoso Cannonau di Sorso. E parlo soprattutto della Vernaccia>>.

Anno 2015. L’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale nel 2015 pubblica nei Quaderni Natura e Biodiversità:<< Così il paesaggio della vite varia in funzione della vocazione del territorio, delle tecniche colturali e delle tradizioni vitivinicole. Nel Sassarese, è degno di nota il paesaggio della Romangia con una viticoltura tradizionale in parte ancora basata sull’allevamento ad alberello. Il paesaggio agrario è caratterizzato da piccoli vigneti misti ad oliveti che si articolano tra le colline calcaree di Sennori e Sorso estendendosi fino ai suoli sabbiosi nella piana della Marina di Sorso e lungo la costa verso Badesi. I vitigni da vino più diffusi sono il Cannonau e il Moscato, mentre il Taloppo è l’uva da tavola che predomina, minor rilievo rivestono il Vermentino, Pascale e Bovale sardo>>

Vignaioli, Artigiani del vino e della Terra in Romangia – Sardegna.